Dalla trincea della rianimazione

Corrado Insolia è nato ad Avola (SR). Vive ed abita a Padova.
Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università Patavina è specialista in Endocrinologia e in Anestesia e Rianimazione.
Lavora attualmente come dirigente medico presso l’Ospedale dell’Angelo di Mestre, nel Servizio di Anestesia e Rianimazione.

Ma Corrado Insolia è soprattutto un poeta, tra i più affermati in Italia, autore di numerose raccolte, tra cui “Segni del tempo”, “Il Teatro delle maschere”, “Scarti”.
Ci offre questo pregevole e significativo racconto, “dalla trincea della Rianimazione”, sull’emergenza Covid19.
Corrado Insolia

Un sabato, in piena emergenza Covid19, rientravo a casa dopo una guardia di 12 ore in terapia intensiva. Erano passate da poco le 22.00, le strade erano deserte, illuminate appena dalla pallida luce giallastra dei lampioni. Da lontano una pattuglia della finanza in ispezione si avvicinava con andatura lenta. Se mi fermano – pensavo – è per la voglia di fare due chiacchiere, per vincere tutto lo squallore di queste giornate e riavvicinarsi al calore umano.  Pensai al film di Benigni e Troisi, Ricomincio da tre. Nella mia mente avevo fatto subito l’associazione con quello che stava accadendo realmente, vivendolo come il brusco risveglio in un’epoca medievale vestita con gli abiti del 2020: due papi, una pandemia alle porte, e il fervore di creare lazzaretti per accogliere e accudire gli ammalati.  Manzoni aveva già descritto tutto questo a proposito della famosa peste di Milano. Quella giornata di lavoro era stata pesante, come tutte le altre in questo  periodo di pandemia di Coranavirus. Ve la racconto per sommi capi cosicché possiate farvi un’idea. Dopo le consuete consegne tra medici di turno – smontanti e montanti – e un breve breafing con i colleghi infermieri, già oberati da carichi di lavoro pesantissimi (pensate solo al nursing dei pazienti), avevo iniziato il giro nel settore a me assegnato. Erano le 8,55, quando sono entrato nel box del primo paziente, e le 16,45  del pomeriggio quando sono uscito dall’ultimo box, per un totale di 8 pazienti.

I pazienti Covid19 sono impegnativi per molti fattori sia clinici che logistici. Già prima di entrare in contatto con loro per il quotidiano giro medico, la sola vestizione con i presidi di sicurezza richiede dai 10 ai 15 minuti, poi la valutazione generale, le manovre da fare, invasive o meno,  richiedono tempo e destrezza, nonché l’aiuto e l’impegno del personale infermieristico e ausiliario. Solo un esempio: le manovre di pronazione esigono dalle 2 alle 4 persone, che vengono distolte dalle loro mansioni abituali con aumento dei carichi di lavoro, di fatica fisica, e aumento del rischio del contagio. Tale manovra si è, nondimeno, rivelata nella stragrande maggioranza dei pazienti fondamentale per il miglioramento del quadro respiratorio, per cui è stata di necessità ripetuta nella nostra comune routine ogni 12-16 ore e per 6-7 giorni consecutivi. Quindi la seconda operazione è quella di decidere per ogni malato la giusta modalità di ventilazione in base ai suoi parametri bio-antropomorfici (Ventilazione protettiva) e omeostatici di ossigenazione, di eliminazione dell’anidride carbonica e di equilibrio acido-base ematico. Un malato con complicanze da contrazione di Covid-19, richiede almeno dalle 3-4 h singolarmente d’impegno continuo per ogni operatore sanitario che lavori in terapia intensiva.  E se si dovesse presentare nel corso della giornata o della notte qualche problema particolare, voi capite che tutto si moltiplica esponenzialmente come impegno e fatica.

L’impegno è grande per tutti, la fatica si accumula con facilità, ma ognuno svolge il proprio compito con coscienza e professionalità e tutti danno il loro contributo a ogni livello e posizione lavorativa, senza, però, che vi sia sconvolgimento delle scale gerarchiche. Accanto a tutto questo, va ricordato il lavoro burocratico per l’approvvigionamento dei farmaci miserevoli (grosso aiuto degli specializzandi) per dare a tutti la più alta percentuale di chance di sopravvivenza. Vanno poi ricordati i colleghi che svolgono il ruolo di urgentisti, che sono il primo baluardo a protezione dell’ospedale e della stessa rianimazione. Sono loro che vengono chiamati per le urgenze, per la valutazione clinica e, se necessaria, l’intubazione di questi disgraziati pazienti quando sono ancora degenti nei reparti a loro dedicati o nei reparti semi-intensivistici.

Si è venuto a creare, grazie a questa stretta collaborazione, un sodalizio di intenti, di unione che fa da scudo alle paure che possono salire inconsciamente a galla (contaminarsi, trasmettere ai propri cari il virus, etc..).

Vorrei infine ricordare a voi tutti ancora un’ultima cosa, che, malgrado sia posta in coda, è l’inizio e la fine del film che ho raccontato. Non rispettare le norme potrebbe contribuire a fare ammalare un vostro caro ed è bene sapere che non potrete vederlo, che avrete sue notizie solo per telefono una volta al giorno, e nel caso disgraziato di de cuius, il vostro caro se andrà via in solitudine e senza conforto religioso. Sento ancora tanta angoscia nel cuore, quando ripenso a quel giorno in cui informando una famiglia del decesso del loro caro, ho sentito dall’altra parte del telefono solo dei singhiozzi disperati: cosa possiamo fare? Non possiamo muoverci, siamo in quarantena.

Avrei potuto aprire questo mio piccolo racconto proprio con queste parole: si nasce e si muore da soli, dopo il primo e l’ultimo respiro cambia tutto, ma, nel mezzo di tale attimo, la differenza la fa chi ci circonda.