2 Come nasce la nave

Come nasce la nave
Come nasce la nave

Un racconto storico in 10 puntate

2a puntata

Nei racconti mitici, tra le avventure sul mare grande rilievo trovano le peripezie di Ulisse per il suo ritorno in patria dopo la guerra di Troia, nonché i terribili avvenimenti legati al mito di Giasone nella sua ricerca del Vello d’oro nella fantomatica Colchide.

A quest’ultimo riguardo (di Ulisse sappiamo tutto) narra la leggenda  (secondo una delle molteplici versioni di Pindaro, Apollonio Rodio, Apollodoro, Ovidio ed altri ancora) che Ino, sposa del re della Beozia Atamante, in odio ai  figli Elle e Frisso che costui aveva avuto dalla ninfa Nefele, tramasse contro di essi per consentire la salita al trono del proprio figlio; ma Nefele, informata dei piani di Ino, ottenne l’aiuto del dio Ermes che mise a loro disposizione Crisomallo, un ariete alato che (come dice il suo nome) era ricoperto di un vello d’oro, per il loro trasferimento nella lontana Colchide. Sennonché nel corso del trasporto Elle cadde in mare ed  affogò, mentre il fratello Frisso, salvatosi, fu ospitato dal Eeta, re della regione che aveva per capitale la città di Ea: qui il giovane fece sacrificio di Crisomallo agli dei che lo avevano supportato, ed il re ascose il Vello d’oro dell’animale in un bosco, sotto la guardia di un drago che non si addormentava mai.

Giasone e gli argonauti

In Grecia Giasone , figlio di Alcimedia e del re di Iolco Esone, per sfuggire alla volontà di ucciderlo da parte dello zio Pelia, che aveva usurpato il trono di Esone, fu dalla madre affidato alle cure del saggio centauro Chirone; divenuto adulto, Giasone chiese allo zio la restituzione del trono cui aveva diritto per ereditarietà, ma l’usurpatore, per evitare la consegna richiedendo un’impresa ritenuta impossibile, si dichiarò disposto a cedere i diritti solo se Giasone gli avesse portato il Vello d’oro rimasto in Colchide. Giasone radunò una schiera di 52 coraggiosi imbarcatisi sulla nave “Argo” (da cui il nome di Argonauti con il quale sono conosciuti) e con essi da Corinto (o Iolcho…) raggiunse la Colchide dopo avventurose peripezie, per sunteggiare le quali sarebbe già troppo lungo elencare i nomi delle 15 o 20 località toccate (di molte delle quali non si conosce con esattezza neppure la posizione), e qui giunto nella capitale della regione, la città di Ea, chiese al re Eeta la consegna del vello d’oro in suo possesso. Il re si dichiarò a ciò disposto solo se Giasone avesse superato due difficilissime prove: aggiogare all’aratro due tori dagli zoccoli di bronzo, che lanciavano fiamme dalle narici, e tracciare quattro solchi nel “Campo di Marte” seminandovi dei denti di drago. ll giovane riuscì a superare gli ostacoli giovandosi dell’aiuto della maga Medea, figlia di Eeta, che Afrodite fece innamorare di Giasone. Infatti Medea, giovandosi delle sue capacità magiche, addormentò il drago di guardia al Vello instillandogli un sonnifero sotto le palpebre, per cui Giasone poté impadronirsene e con questo intraprendere il viaggio di ritorno.

Estremamente truce è il resoconto del rientro. Medea porta con sé (od anche, secondo una  diversa versione, rapisce) il fratellastro Apsirto, che durante la fuga taglia a pezzi per ritardare l’inseguimento del padre Eeta, che si ferma per raccogliere le spoglie del piccolo, gettate in acqua da Medea: Zeus per punirli del misfatto, allontana la nave dalla rotta mediante una successione di tempeste, sino a che, la “Argo” (nave parlante) suggerisce di purificarsi con una magia della ninfa Circe (la stessa che avrà a che fare anche con Ulisse) sull’isola di Ea; le Sirene che tentano di incantarli con il loro canto tacitate dalle melodie di Orfeo, il gigante di bronzo Talo che impazzito si procura la morte rimuovendo il chiodo che tratteneva il suo sangue nell’unica arteria, vengono sempre tenuti in scacco dalla maga Medea, sino a che la “Argo” rientra alla base e Giasone può richiedere a Pelia di mantenere l’impegno preso: ma questi rifiuta e Giasone, secondo versioni tra loro molto contrastanti, lo uccide e s’insedia sul trono conteso. La tesi più accreditata narra che Medea convinse le figlie di Pelia a tagliare a pezzi il padre ed a farlo bollire al fine di ringiovanirlo:  ma Medea non aggiunse le erbe magiche necessarie allo scopo e questa fu la fine di Pelia, il cui figlio Acasto cacciò però Giasone e  Medea, che si rifugiarono a Corinto.

La nave Argo (Riproduzione “scala 1:1” per il museo di Volos, in Grecia)

Ma anche il ritorno della nave con i suoi occupanti ai propri lidi non fu privo di vicissitudini, con inganni, tradimenti, feroci uccisioni, vendette divine e simili, pure dopo che Giasone ebbe sposato Medea per sfuggire alle ire di re Alcinoo che era intenzionato a ricondurre in patria la maga. Infine gli Argonauti, costeggiando l’Eubea, giunsero a Iolco, dopo quattro mesi dalla partenza: Giasone aveva mantenuta la promessa fatta a Pelia sulla riconquista del Vello d’oro e concluse le operazioni con il condurre in porto a Corinto l’imbarcazione. Qui egli si innamora di Glauce (o Creusa), figlia del re Creonte, sposandola e provocando la vendetta della tradita Medea che fa morire Glauce entro un vestito incantato che prende fuoco, e con lei Creonte e i propri due figli avuti da Giasone. Quest’ultimo, con l’aiuto del padre di Achille, Peleo, uccide infine Acasto e si insedia sul trono desiderato; toltigli però i favori della dea Era, moglie di Zeus, per l’abbandono di Medea, solo e disperato, perde la vita per un cedimento strutturale della vecchia nave “Argo”, come maledizione degli dei per le sue malefatte.

Per quanto riguarda Medea essa, come maga, non è soggetta a pagare il fio per le efferatezze commesse poiché, seppure con versioni diverse nei testi classici di Euripide, Ennio, Seneca, Draconzio e perfino Dante Alighieri, rientra nell’ordine delle divinità classiche, per cui non poteva essere assoggettata ad una umana punizione.

Alla mitica narrazione si riferisce anche Catullo, nel carme 64, il quale raffrontando due casi paradigmatici di amori del mondo classico: apprezzamento per il matrimonio dei due amanti regolari Peleo e Tetide, ma disapprovazione dell’amore illegittimo tra Arianna e Teseo e dell’abbandono della donna da parte di quest’ultimo, non trascura per Teseo la considerazione della dovuta condanna. Quale punizione di Teseo si giustificherebbe pertanto sia la sua uccisione da parte del re Licomede, che lo avrebbe lasciat0 cadere da una scogliera, sia la sua condanna post-mortem decretata dagli dei (così come già gli avvenne, ma solo temporaneamente, nel suo tentativo insieme con Piritoo di rapimento di Persefone) di rimanere per l’eternità obbligato sulla “sedia dell’oblio”, che alla morte del condannato si fa carne della sua carne e quindi gli rimane permanentemente avvinta.Pure Dante Alighieri condanna Giasone, ponendolo nel girone infernale dei fraudolenti (ove corre nudo sotto le frustate dei demoni) per aver sedotto ed abbandonato Medea, anche se in un brano del “Paradiso” ne paragona l’eccezionalità della conquista del Vello d’oro alla propria opera poetica ed in un altro dice che la stupefazione che gli infonde la visione di Dio è maggiore anche di quella che gli procura il pensiero dell’impresa degli Argonauti.

Chiusa la divagazione, prima di rientrare nel tema esaminando in dettaglio come le unità navali progredissero nelle loro concezioni tecniche e funzionali nei secoli successivi, pare opportuno  esprimere un pensiero su quella sorta di tregua tecnologica che si è soliti attribuire al periodo storico a cavallo degli anni che videro la nascita di Cristo, noto come “periodo ellenista”.

Recenti approfondimenti sulla reale consistenza del pensiero ellenistico sulla scienza in generale e la tecnologia in particolare, hanno rimosso quella visione di uno squarcio di tempo privo di apporti conoscitivi degni di riscontro che ha gravato per secoli sull’ellenismo, riconoscendo che scienza, tecnologia e matematica hanno raggiunto anche in tal periodo un elevato livello di conoscenza, e rivelando che tecnologicamente la pur splendida cultura ellenica aveva delle carenze rispetto alle punte cui, per effetto dei millenni durante i quali avevano accumulato conoscenze empiriche, erano addivenute le civiltà egiziana e mesopotamica che l’avevano preceduta.

Tra le città che maggiormente si giovarono degli sviluppi tecnologici e delle nuove relazioni culturali conseguite alle conquiste di Alessandro, si deve annoverare Alessandria d’Egitto, che divenne il maggior centro commerciale e produttivo del periodo ellenistico ed ove i mercanti stranieri erano particolarmente apprezzati in quanto portatori di moneta pregiata.  Il porto della città smaltiva enormi quantità di merci: in importazione soprattutto metalli, droghe e profumi, in esportazione farmaci, coloranti, tessuti e oggetti lavorati.

L’Egitto ellenista

Particolare rilevanza avevano i rapporti con Rodi e con l’Italia verso la quale si aveva un largo supero delle esportazioni rispetto alle importazioni: Cicerone relaziona di navi aventi come base di arrivo Pozzuoli con carichi costituiti prevalentemente da carta, tessuti e vetro; del resto, per alimentazione della plebe, legata alla distribuzione gratuita del grano, Roma era tributaria soprattutto dell’importazione di frumento dall’Egitto e dal nord-Africa.

Dopo la sconfitta di Cartagine (202 a.C.) Roma fu libera di guardare ad occidente e pochi anni dopo, a Cinocefale, sconfisse la Macedonia che, con Filippo V, governava anche la Grecia e l’Egitto: però fu la cultura greca ad impossessarsi dell’animo dei romani colti (“Graecia capta ferum victorem cepit”, “la Grecia conquistata conquistò il fiero vincitore” scrisse Orazio): la lingua greca continuò ad essere l’idioma parlato in oriente, Atene rimase il centro della vita politica e civile dell’Ellade, anche se Roma estese alla Grecia le proprie istituzioni politiche ed il proprio diritto oltre alla più sviluppata tecnologia civile e militare, ciò che fu però anche causa di obnubilamento di parte delle conoscenze tecniche e scientifiche raggiunte nei secoli precedenti, alle quali scarsa attenzione e quindi scarso contributo venne apportato dalla romanità.

Le attività scientifiche nel periodo ellenistico e post-ellenistico furono ostacolate anche dalla convinzione dei saggi che non fosse possibile affermare, e quindi insegnare, alcunché in contrasto con le affermazioni di Aristotele, oltre che dai lunghi periodi di belligeranza che Roma ebbe con gli Stati che si susseguirono dopo la morte di Alessandro, sino a che la pax romana non ripristinò le condizioni per una ripresa degli studi (con Erone, Tolomeo, Galeno), che comunque non raggiunsero più l’elevatezza attinta negli ultimi secoli del millennio precedente, per spegnersi quasi totalmente con le invasioni barbariche, in un periodo di oscurantismo, il Medio Evo, sino al “Rinascimento” italiano. Molte conoscenze andarono disperse, anche se furono spesso oggetto di una laboriosa ricostruzione, non sempre immediatamente completa, che può dirsi cominciata sistematicamente solo nel secolo XVI in rapporto con l’evoluzione dei trasporti, sì che la tecnologia romana raggiunse limiti per lungo tempo insuperati nella realizzazione di opere quali ponti, strade, acquedotti, cui era adibito il genio militare, formato da ingegneri, architetti,  geometri, fabbri, che era di supporto tecnico alle armate, mentre i soldati ne costituivano la manovalanza, anche nella costruzione di accampamenti, macchine di assedio, mura attorno agli accampamenti o attorno alle  città assediate, con risultati tecnici e tempi di esecuzione talora incredibili.