4 Come nasce la nave

Gli scambi commerciali avvenivano in quantità molto limitate nei primordi delle attività umane sia perché non necessari a motivo delle scarse esigenze del vivere quotidiano e quindi con produzioni destinate prevalentemente alle esigenze familiari, sia per l’inadeguatezza dei mezzi di trasporto disponibili, limitata ai carriaggi trainati dagli animali da tiro addomesticati. Sino a quando non si resero disponibili beni pregiati (in origine costituiti prevalentemente da pietre ritenute preziose, quali i lapislazzuli, o addirittura dal sale) venivano perciò scambiati quasi esclusivamente beni di prima necessità di modesto volume, con il metodo del baratto. I lunghi trasporti ebbero inizio tardivamente, per via terrestre, dapprima con l’impiego degli animali da soma (cavalli, buoi, asini, muli, cammelli) e poi con carri trainati da questi stessi quando ai tratturi primitivi si sostituirono percorsi meno accidentati, cioè le strade primitivamente in terra battuta e poi lastricate in qualche maniera.

Le prime notizie sulla navigazione commerciale si hanno attorno alla metà del III millennio a.C., con testi egiziani in cui si cita il viaggio di 40 navi pervenute dal Libano con carichi di legno di cedro, molto usato nelle costruzioni navali. Vi si affiancano notizie del trasporto di altri materiali, specialmente materie prime necessarie per far fronte agli sviluppi di carattere industriale e tecnologico, su rotte verso l’occidente dove la tradizione narra di terre ricche di miniere.  Si deve però giungere al II millennio a.C. perché gli scavi archeologici ci diano notizia del fatto che le attività umane cominciarono a coinvolgere l’idea della ricchezza, raccogliendo nel tempio di un dio, sotto la sorveglianza di un sacerdote, le preziosità accumulate: prede belliche, oggetti preziosi, pezzi metallici grezzi o lavorati. Dall’esame delle tavolette di argilla reperite negli scavi emerge anche l’uso e l’entità di un tasso di interesse, che non veniva corrisposto ma contribuiva a costituire il valore dell’oggetto depositato, per stime annue dell’ordine del 20–30%. I 150 articoli del codice babilonese di Hammurabi (anni 1728–1686 a.C.), inciso nel blocco di diorite scoperto a Susa di Persia ed oggi depositato nel Louvre di Parigi, ci Codice di Hammurabi     danno tra l’altro uno spaccato preciso delle attività commerciali che si svolgevano nei paesi mesopotamici, sia nel periodo babilonese che nel successivo ittita.

Le prime precise notizie sullo stabilirsi di regolari comunicazioni tra i popoli asiatici e gli europei si hanno però con l’espansione delle conquiste di Alessandro Magno in Asia sino alla valle del fiume Indo, nelle regioni coperte dagli attuali Afghanistan e Pakistan sino al Tagikistan, ove egli fondò la più remota delle molte città da lui denominate Alessandria. Fu appunto un ammiraglio di Alessandro, Nearco, che nel suo ritorno al golfo Persico partendo dai porti sull’oceano Indiano, aprì la rotta che successivamente venne utilizzata dai sovrani Tolomei per integrare la navigazione sul Nilo ed i percorsi carovanieri dall’Egitto con i collegamenti con la Mesopotamia, l’India e l’Africa orientale.

A questo punto si ritiene necessario far presente che, anche per le esigenze del commercio, gli uomini  necessitavano ormai di metodi più avanzati per fare di conto. Gli uomini (ma anche gli animali) percepiscono d’istinto l’esatta sensazione del numero nel caso di piccole entità, ma perdono in genere tale consapevolezza nel caso di una moltitudine di oggetti. Un aneddoto, da un testo di John Barrow, narra che un individuo cercava di disfarsi di un uccello che permaneva in prossimità di sue coltivazioni giovandosene per alimentarsi: poiché l’uccello si allontanava ogniqualvolta il malintenzionato si avvicinava, questi tentò di ingannare l’uccello sulle sue reali intenzioni recandosi sul luogo non da solo, ma via via accompagnato da uno poi due poi tre amici: ma sempre l’uccello volava via all’avvicinarsi del gruppetto, sino a che, avvicinatosi l’uomo insieme ad altri quattro individui, l’uccello non si mise più in allarme, restò sul luogo e venne ucciso; spiegazione: l’uccello aveva il senso del numero sino a quattro, ma per numeri superiori perdeva il conto, subentrava la sensazione di una moltitudine e si lasciava ingannare.

Prima che sopravvenisse più precisa la cognizione del numero, un metodo per avere conoscenza della quantità poteva essere quello di raccogliere in un contenitore tante pietre quante dovevano essere le cose da numerare (ad esempi tante pecore o tante galline) al fine di poter avere un riscontro della quantità globale. Le prime mosse nella contabilità dovettero però fare affidamento sulle dita delle mani, con le quali si conta per dieci e quindi portarono alla individuazione del sistema decimale; poi si  estesero anche a quelle dei piedi e perciò alla conta per venti nel sistema vigesimale, e le falangi delle quattro dita di una mano, contate con l’altro dito nel numero di dodici, poterono indurre al sistema duodecimale; più per motivi rituali che per esigenze di conteggio, i numeri vennero connessi perfino a tutte le altre parti del corpo, magari per gruppi omogenei come nel sistema quinario (le cinque dita di ogni mano) o nel binario per i diversi accoppiamenti (braccia, gambe, ecc.) del corpo umano, di cui si trova ancora traccia in popolazioni dell’Africa e delle isole del Pacifico.

Comunque, già millenni avanti che venisse escogitato un qualche sistema di conteggio, l’umanità aveva cominciato a contare, e di ciò abbiamo traccia nelle tacche rinvenute dagli archeologi su ossa o pezzi di legno, di cui l’esempio più antico è costituito dall’osso di babbuino rinvenuto a Lebombo, nello Swaziland, databile a circa il 35.000 a.C., sul quale sono tracciate 29 incisioni verticali: il significato delle tacche da cui esso osso di Lebombo è segnato è peraltro ancora sconosciuto, sebbene si siano fatte ipotesi circa i cicli lunari o femminili. Su altre ossa incise, di epoca posteriore (tra i 35.000 e i 20.000 anni a.C.), si ritiene invece che siano tracciati riferimenti al tempo; sull’osso di Ishango forse un calendario lunare. Nel Libano sono state ritrovate ossa con intaccature riunite in gruppi, a far presumere l’idea di conteggi, che si fanno risalire agli anni 12.000-15.000 a.C. Tacche verticali furono più tardi adoperate per indicare insiemi in genere non superiori a quattro o cinque, ma la scienza matematica nasce probabilmente in periodo ellenistico (II e III secolo a.C.), sebbene di essa siano rimaste scarse tracce, preceduta da una periodo paleo-babilonese ed egiziano e da un altro che può essere denominato ellenico, durante i quali però lo sviluppo della capacità di contare non condusse a determinazione di modalità da seguire per risolvere problemi matematici, per i quali ci si serviva prevalentemente di rappresentazioni e considerazioni geometriche. La rappresentazione di conteggi ha comunque largamente preceduto l’invenzione della scrittura, della quale è forse stata originaria trattandosi di iscrizioni riguardanti la memorizzazione di contabilità.

Leonardo Fibonacci (1170 Ca. – 1242 Ca.)

Dalle semplici tacche si giunse poi (con l’aggiunta di lettere particolari quali V od X) alla esplicitazione nel sistema numerale romano. Ma se in questo l‘esecuzione di somma e differenza non ponevano grandi difficoltà, per la moltiplicazione si poteva solo operare con una serie di sommatorie ed ancor più difficile era eseguire operazioni divisorie. Sino a quando il sistema indo-arabico e successivamente l’algebra, con il valore posizionale delle cifre e l’introduzione dello zero (un colpo di genio, la rappresentazione del nulla!), condussero all’attuale facilità nel conteggio anche di grandi numeri (si consideri quanto questo ebbe a facilitare le notazioni astronomiche). Fondamentale, in questo contesto, la figura di Leonardo Fibonacci, pisano come successivamente Galileo Galilei a mostrare quanto il mondo occidentale debba alla piccola città che diede i natali al genio di questi personaggi, i quali posero i fondamenti della scienza moderna.

Fibonacci comprese per primo che i nuovi caratteri indo-arabi e lo zero erano determinanti per le possibilità di calcolo e ne espose i principi nel testo “Liber abbaci” con il quale spiegò al mondo, addormentato per secoli nel buio medioevale, i valori commerciali della matematica. Nato all’incirca nel 1175, divenne famoso in un primo periodo della sua vita con il libro in cui insegnava come far tesoro del sistema numerico ch’egli aveva conosciuto in Algeria; gli italiani prima e gli altri europei dopo, appresero così i principi dell’algebra e della moderna matematica, ma poi lui tornò  sconosciuto per sei secoli, sino a quando venne riscoperto e riconosciuto come il maggior matematico del medioevo.

Fu però lo sviluppo stradale creato dai Romani per motivi essenzialmente militari ad assumere grande importanza anche per le attività commerciali, trattandosi di un sistema viario che alimentava gli scambi in tutto il territorio dominato da Roma ed oltre: all’apogeo dell’impero un’unica grande strada circondava tutto il Mediterraneo, nell’Europa centrale le grandi strade si incrociavano tra loro e seguivano il confine e le vecchie vie commerciali, in oriente sussistevano i sistemi viari creati dagli imperi e dalle dinastie ellenistiche, e le grandi vie carovaniere toccavano le principali città quali Efeso, Petra e Palmira. Naturalmente i mezzi di trasporto impiegati erano tutti molto lenti ed i tempi impiegati per coprire le grandi distanze rimasero pressoché invariati sino all’avvento dei moderni mezzi meccanici ottocenteschi: un carro trainato da buoi copriva non più di 15 chilometri al giorno nella buona stagione, il servizio di stato a cavalli istituito dai Romani prevedeva circa 21 giorni tra Efeso e la Mesopotamia, ma i servizi privati non ne impiegavano meno di 30; anche 150 km al giorno potevano essere percorsi via mare, ma limitatamente ai periodi stagionalmente favorevoli.

Nel commercio marittimo romano si impiegavano anche navi speciali per merci particolari: citeremo le “lapidariae” per il trasporto di marmi, la “frumentariae” per il  grano, le “vinariae” per il vino, il cui trasporto oltre che con anfore avveniva con grandi vasi (“dolia”) che contenevano sino a 3000 litri di liquido ciascuno, le “bestiariae” per il trasporto degli animali destinati ai giochi nei circhi. Per carichi eccezionali, come quelli degli obelischi, si attrezzavano appositamente le navi, mentre non risulta che siano mai esistite unità destinate al solo trasporto delle persone, che avveniva promiscuamente con quello delle mercanzie. La capacità di trasporto delle navi raggiungeva talora livelli notevoli: alcune unità potevano trasportare più di 10.000 anfore, sistemate su quattro o cinque strati, con un peso complessivo dell’ordine delle 500 tonnellate odierne, altre sino a quasi 200.000 moggi di grano, per oltre 1200 tonnellate, sì che si calcola che giungessero annualmente a Roma, per la distribuzione gratuita alle classi povere, anche 270.000 tonnellate di frumento. Dall’oriente era fiorente anche il trasporto delle spezie, con destinazione alle classi patrizie.