Ibrido nelle grandi e piccole unità

La propulsione ibrida: generalità

Va preso atto che i veicoli del trasporto, oggi e per il prossimo futuro, non potranno esimersi dall’impiego, diretto o derivato, degli idrocarburi per la loro propulsione. E sebbene sia dimostrato che il trasporto marittimo è dal punto di vista energetico il più efficiente tra i mezzi di trasporto, avendosi da esso un inquinamento dell’aria che oggi non supera nella produzione dei nocivi ossidi di zolfo (SOx) la quota del 3.2% del totale mondiale, cui si aggiunge circa il 2.7% della produzione mondiale di anidride carbonica quale concorrente alla produzione dell’effetto serra, l’attenzione su tali aspetti è comunque continua. La riduzione di CO2 si consegue in particolare riducendo i consumi del combustibile, ossia riducendo le potenze espresse (con la conseguente diminuzione della velocità media della navi) e rivolgendoci a motori aventi un più elevato rendimento nell’impiego del combustibile stesso. Allo scopo l’IMO (International Maritime Organisation) ha adottato un emendamento (di prossima entrata in vigore) all’Annesso VI della MARPOL, con l’introduzione di un “Certificato Internazionale  sull’Efficienza Energetica” che intende sostituire l’attuale “Certificato internazionale per la prevenzione dell’inquinamento”, e di un “Indice di Progetto di Efficienza Energetica” (EEDI)  di cui dovranno essere dotate tutte le navi aventi stazza superiore a 400 GT, con esclusione di quelle che non siano dotate di un sistema di propulsione ibrido, diesel-elettrico o a turbina: l’indice è definito come rapporto tra le emissioni di CO2 ed il prodotto dei valori della velocità e della portata lorda, anche con la previsione di una tassazione per le unità che superassero un determinato limite dell’indice stesso. Sulla produzione degli SOX si interviene con norme ulteriormente limitative del contenuto di zolfo nei gasoli, per il quale l’Annesso VI della MARPOL prevede pure una progressiva diminuzione, ottenibile con procedimenti costosi che, naturalmente, incideranno sul costo del trasporto marittimo.

Ai fini di avviare a soluzione almeno parte dei problemi di carattere ambientale, è preminente l’interesse che viene rivolto alla propulsione dei veicoli, ed in particolare all’impiego di apparati di tipo “ibrido” (cioè ad azionamento commisto dei propulsori con motori endotermici e motori elettrici). In realtà si può affermare che il ricorso ai veicoli “ibridi” offre vantaggi rispetto a quelli alimentati a combustibili fossili poiché non danno emissioni gassose nei periodi di funzionamento ad energia elettrica, ma  non sempre risponde al criterio del risparmio energetico, quando vi sia la necessità di trasferire l’azione propulsiva tramite batterie e meccanismi elettrici che non solo perdono per rendimento percentuali dell’energia trasmessa, ma presuppongono anche l’avvenuto impiego di notevoli quote di energia e la conseguente produzione di gas inquinanti per realizzare gli elementi meccanici aggiuntivi necessari.

Sebbene analoghe sembrino le condizioni, si abbia presente che l’ibridazione è meno favorevole per le unità navali che per le auto, in quanto le prime scarsamente possono giovarsi della frenata rigenerativa che consente un recupero dell’energia.

Se si guarda alla navigazione va inoltre considerato che vi è una distinzione di principio tra la propulsione ibrida quale viene attuata sulle unità maggiori, destinate principalmente al traffico mercantile ma che si riversa ormai anche sulle grandi unità del diporto, nelle quali si persegue prevalentemente la riduzione dell’impegno energetico e con esso del costo del trasporto, senza trascurare che questo torna utile anche per la riduzione dell’inquinamento, e quale si attua nelle unità di piccola dimensione, particolarmente addette al diporto, nelle quali si cerca precipuamente di trasferire la produzione di gas inquinanti dalle zone che si vogliono proteggere a quelle ove si ritiene che meno pericolosa sia la loro presenza, senza curarsi che ciò possa avvenire con saldo energetico ed economico meno favorevole.


Concetti alla base della propulsione ibrida sulle grandi navi

Il motore primo (cioè quello che fornisce l’energia al complesso), che è  costituito da un motore endotermico a ciclo diesel oppure da una turbina (a combustibile liquido od a gas), non è collegato direttamente al propulsore (generalmente ad elica) ma, tramite un generatore di corrente, alimenta uno o più motori elettrici per la propulsione, oltre ad alcuni servizi elettrici di bordo.

Il regime di rotazione del motore termico può essere impostato per operare sempre ad un valore prossimo a quello di massimo rendimento, non dovendo subire sostanziali variazioni né inversioni in relazione con le potenze da fornire all’elica: ciò consente di impiegare motori diesel con campo di utilizzo molto stretto attorno al regime di massima efficienza, e non lavorando mai il motore primo con carico molto ridotto e quindi con fattore di potenza limitato si hanno un rendimento più elevato e minori consumi di combustibile rispetto al normale impiego del motore diesel; inoltre, quando l’energia elettrica consumata per servizi di bordo superi circa un terzo di quella impiegata per la propulsione, il complesso dei macchinari adottati può avere un costo di costruzione inferiore rispetto al sistema alternativo a più elementi ed anche un minor costo di manutenzione, perché i motori endotermici di una certa potenza risultano  generalmente di maggior costo e minor efficienza dei motori elettrici. Pertanto, sebbene occorra effettuare una doppia trasformazione di energia, da  meccanica ad elettrica dapprima, e successivamente da elettrica a meccanica sull’elica e ciò comporti una perdita di rendimento rispetto al semplice collegamento tra motore e propulsore, seppure tramite un riduttore di giri, il sistema risulta più economico e meno inquinante.

Si abbia anche presente che se in origine uno dei lati negativi era costituito dalla difficoltà di controllare elettricamente con un sistema semplice la potenza trasmessa dal propulsore per intervenire sulla velocità da imprimere alla nave nelle diverse condizioni di navigazione, oggi lo sviluppo tecnologico intervenuto con l’elettronica,  ha reso ciò del tutto agevole. Si può intervenire sul controllo della propulsione sia dalla plancia che dalla centrale, ed il comando ed il controllo a distanza, essenziali per ogni automazione, appaiono del tutto naturali nel servizio elettrico.

Inoltre è da considerare a vantaggio del sistema anche miglior utilizzazione dei volumi di scafo per l’indipendenza della posizione dei motori primi rispetto alle eliche, riduzione delle vibrazioni e maggior comfort per i passeggeri, guadagno di tempo nelle manovre per la maggior flessibilità di comando ed eliminazione della necessità dell’inversione di marcia dei motori diesel, e si comprende come la propulsione ibrida così considerata tenda oggi ad espandersi dalla grandi navi commerciali ai grossi yachts della navigazione da diporto, sui quali la propensione al basso impatto ambientale è ormai un concetto acquisito.


La  propulsione ibrida sulle unità minori.

Nelle unità minori il motore endotermico (a ciclo diesel o a ciclo otto) ed il motore elettrico forniscono separatamente energia al propulsore: il secondo con l’ausilio  di batterie chimiche in precedenza caricate dal motore primo. Le batterie possono ricevere energia di ricarica anche dall’esterno, e nei casi di più spinta elettrificazione possono essere predisposte anche solo per fruire di questa ultima condizione.

In genere il motore a combustione interna ha potenza predominante, ed il motore elettrico ha la funzione di sostituirlo nei momenti di necessità, per rispondere  ad una funzione non polluente, anche per il vantaggio di eliminare il funzionamento del motore endotermico alle marce basse, che sono appunto le più inquinanti: la produzione di energia da motore termico alle potenze lontane da quelle di massimo rendimento, quali sono quelle più di frequente utilizzate in ambito urbano, comporta infatti consumi specifici che si esaltano anche di tre volte rispetto al consumo per unità di potenza ai regimi di rotazione rispondenti alla massima coppia generabile dal motore. Ovviamente nell’uso si fruisce in massima parte del più potente impianto a motore endotermico, salvo passare alla propulsione elettrica in accesso e permanenza nei porti o nelle zone che si vogliono proteggere.

Si verifica così che per le piccole unità non si presentano i vantaggi che abbiamo considerato per le unità maggiori: la sistemazione ibrida non risponde al criterio del risparmio dell’impegno di energia e di spesa essendovi la necessità di trasferire la potenza tramite batterie e meccanismi elettrici che innalzano i costi di produzione e di esercizio e che inutilizzano per rendimento in esercizio una notevole percentuale dell’energia prodotta: anche con le batterie più moderne, seppure specificamente progettate per l’ambiente marino, si ha una perdita di energia dell’ordine del 20-30% per la carica e scarica. In aggiunta presuppongono l’impiego di quote di energia e la conseguente produzione di “gas serra” per realizzare gli elementi meccanici aggiuntivi necessari: per le batterie al litio il 15% dell’impatto ambientale totale risulterebbe da ascrivere alla batteria, di cui la metà dovuta all’estrazione ed alla lavorazione di rame ed alluminio, ed il 2,3% del totale al litio, secondo uno studio pubblicato da ”Environmental Science & Technology”.

Né la situazione è migliore per le unità che possano effettuare la ricarica delle batterie fruendo di impianti di carica disposti a terra con alimentazione da grandi centrale elettriche, agenti certo con rendimenti superiori agli impianti di bordo ma soggetti alle perdite per la trasmissione a distanza e pur sempre gravate dalla scarsità di rendimento e dagli altri inconvenienti degli accumulatori sull’imbarcazione. La rivista ”Le Scienze” riferisce di uno studio di ricercatori dello svizzero Empa (Federal Laboratories for Material Science) da cui risulta che, a meno che l’energia con cui si caricano le batterie non sia di esclusiva fonte rinnovabile (situazione praticamente non realizzabile stante la bassa presenza di queste), l’impatto ambientale di un auto ibridata (trascurando i gas prodotti nella produzione dell’impianto e lo smaltimento delle batterie?) non differisce da quello procurato da un autoveicolo tradizionale che soddisfi la normativa Euro 5 sulle emissioni.

E’ d’uopo considerare attentamente gli esperimenti di navigazione che tendano a dimostrare la preferibilità dell’ibrido sui sistemi di propulsione convenzionali, effettuati spesso con raffronti non indicativi: in verità l’energia elettrica, necessitando di un vettore per l’uso, spesso risulta non solo più cara ma anche, globalmente considerata,  da doversi utilizzare in maggior misura di quella direttamente impiegabile con i mezzi tradizionali; per cui anche la produzione di sostanze inquinanti (in particolare CO2), anziché ridursi può aumentare per il motore ibrido rispetto al semplice motore endotermico, ed a ciò bisogna aggiungere il problema dello smaltimento delle batterie consunte, per le quali si richiede sempre un ricambio dopo non prolungati periodi di funzionamento.

Nelle sostanza, quindi, la propulsione ibrida può considerarsi, al massimo, un localmente utile ma costoso palliativo al problema: per superare l’impasse occorre giungere alla vera soluzione, che consiste essenzialmente nella realizzazione di accumulatori di energia che non presentino i difetti di oggi: l’alto costo, lo scarso rendimento energetico e la lunghezza dei tempi di ricarica, oltre alla limitatezza  della loro vita utile.


La ricerca di una soluzione al problema dell’accumulazione di energia

Il punto di dolenza del battello elettrico è essenzialmente legato ai difetti e costi di impianto e di esercizio delle batterie destinate all’accumulo dell’energia da trasmettere agli organi di propulsione, i cui tipi variano a seconda della tecnologia chimica adottata; si hanno pertanto:

  • Batterie alcaline
  • Batterie al litio
  • Batterie al litio-polimero
  • Batterie al nichel- cadmio
  • Batterie al nichel-metallo idruro (NI-MH), in cui per metallo idruro si intende un composto dell’idrogeno con altri elementi.

In sintesi,  si può anche dire che:

  • le batterie al piombo sono affidabili, con vita a non alto numero di cicli e forniscono corrente a costi contenuti; possiedono però bassa energia specifica e sono molto pesanti ed ingombranti;
  • le batterie al litio, di peso contenuto e con alto numero di cicli possibili, hanno elevata energia e potenza specifiche, sono però non sempre affidabili e presentano costi molto alti;
  • le batterie al nichel, di buona energia e potenza specifiche, ammettono un elevato numero di cicli, ma hanno costi elevati;
  • le batterie al Ni-MH hanno maggior peso e minor capacità di quelle a ioni di litio.

Un conciso raffronto tra batterie al piombo ed al litio, ci dice che :

– una batteria al Pb de 7 Ah pesa circa 2.5 kg, una al Li da 4.8 Ah circa 0.2 kg

– la batteria al Pb genera corrente per circa 150 A, quella al Li per circa 100 A

– la tensione media fornita dalla prima è attorno ai 12.7 V, dalla seconda  11.8 V.

Nella pratica costruttiva, l’orientamento prevalente nelle unità del diporto di minori dimensioni rigetta le batterie al piombo a causa del loro peso, per rivolgersi preferibilmente, alle batterie al litio, od anche al nichel, soggiacendo però a costi molto elevati. Ma con queste, come si è visto, il problema non viene oggi risolto che in maniera parziale perché con impegni economico ed ecologico insoddisfacenti. Certo, la ricerca di un sistema di accumulazione dell’energia che lasci più tranquilli per l’avvenire del pianeta terra è all’ordine del giorno anche se, per la verità, sembriamo ancora piuttosto lontani dalla soluzione.

Non è solo alla ricerca di batterie ad elevatissima densità energetica che si rivolge oggi la scienza: un altro settore di grande interesse è la riduzione dei tempi di ricarica. Alla base delle più recenti ricerche sembra quindi non esserci più tanto la messa a punto di nuovi materiali, quanto lo studio del comportamento degli ioni di litio, al fine soprattutto di aumentare la velocità con cui questi si spostano nell’elettrolito tra anodo e catodo durante i cicli di carica e scarica (dal catodo all’anodo durante la carica, in senso inverso durante la discarica). In questa direzione stanno, ad esempio, sperimentando sia il coreano Istituto Nazionale di Scienza e Tecnologia (che attraverso un processo di carbonizzazione del materiale catodico agli ioni di litio permetterebbe una ricarica 120 volte più veloce delle attuali batterie), sia lo statunitense Argonne National Laboratory,  la tedesca Basf, la belga Umicore ed altri.


Le promesse della quantistica

Strumento fondamentale della scienza futura potrebbe essere il preconizzato “computer quantistico” che sfruttando l’interferenza messa in rilievo dagli esperimenti di quantistica con doppia fenditura ed entanglement potrebbe consentire di raggiungere velocità di calcolo che, è stato scritto, farebbero sembrare il più veloce dei computer classici poco più di un abaco nelle mani di un mutilato: la già impostata “progettazione computazionale ad alto rendimento”  potrebbe permettere, nel campo che ci interessa, di effettuare la ricerca delle qualità richieste per gli accumulatori di energia mediante l’input contemporaneo nel computer delle proprietà di migliaia di componenti, attuando la ricerca in unica soluzione anziché con i tempi lunghissimi che oggi richiedono le operazioni eseguite per poche qualità per volta.

Le soluzioni relative all’accumulazione di energia ipotizzate con l’ausilio della meccanica quantistica sono ancora tutte a livello astratto e teorico, e quindi gli studi di cui si abbia notizia sono a carattere concettuale: non è né possibile né prudente scendere in dettaglio su quanto si riesce ad apprendere. Vorremmo perciò citare solo quale esemplificazione del terreno sul quale alcuni fisici si muovono, gli studi in corso presso l’Università dell’Illinois sulla possibilità di creare condensatori nanoscopici che consentano di avvicinare a meno di 10 nanometri le due piastre sulle quali viene conservata la carica, nei quali gli effetti quantistici impedirebbero che  venisse tra di esse ad innescarsi l’arco voltaico che causerebbe la immediata discarica del condensatore: la capacità di carica così realizzata si moltiplicherebbe enormemente rispetto a quanto possibile con le tecnologie attuali. Si segnala però che da illustri contraddittori è già stato fatto notare che non è dato di sapere se i presupposti di partenza siano corretti, quali fenomeni non conosciuti potranno emergere nella realizzazione, quale sia il comportamento dei materiali nano fabbricati una volta percorsi dalla corrente. E’ stato scritto tempo fa che ”nel giro di un anno potrebbe essere realizzato un prototipo” ma non si ha notizia che l’evento si sia verificato.

Si ha notizia anche, da “Physical Review Letters”, della ricerca in corso su “batterie relativistiche” con l’impiego di metalli più pesanti del piombo, che sfruttano la maggior velocità degli elettroni per ottenere risultati favorevoli nei tempi di ricarica: ma, anche tacendo del possibile più alto peso della batteria, gli elementi impiegabili sarebbero generalmente radioattivi e quindi di non prudenziale uso!


Le prospettive future

Il veicolo totalmente elettrico con prestazioni analoghe a quelle del veicolo convenzionale ci verrà un giorno consentito dalla fisica quantistica?

Lo scarso sviluppo del ricorso odierno ai veicoli ibridi nelle unità di minor tonnellaggio significa il sostanziale fallimento, almeno al presente livello tecnologico e delle conoscenze, del veicolo a propulsione elettrica: oggi é solo così possibile delocalizzare la produzione di CO2, la quale però, in saldo, aumenta di quantità; del resto, l’incremento molto limitato del ricorso ai veicoli ibridi risente pure della sostanziale insoddisfazione per le prestazione del mezzo durante il funzionamento a propulsione elettrica. Se la mobilità sostenibile deve essere fondata sul binomio “riduzione dell’inquinamento-riduzione dell’impegno energetico”, risulta necessario, al di fuori degli altri accorgimenti utili a ridurre il “gas serra”, rivolgerci anche a strategie di risparmio energetico che fruiscano di attrezzature a più elevato rendimento.

Dalla succinta esposizione fatta per il possibile futuro, si ricava che elemento chiave di quasi tutte le soluzioni oggi concretamente prevedibili del problema della convertibilità energetica sembra essere il litio, abbondante in natura ma di assai costosa estrazione dagli elementi con i quali si trova combinato. Quando perciò il mercato dei veicoli elettrici avesse raggiunto le quote che si auspicano per la sostenibilità ecologica, la domanda di tale elemento verrebbe rapidamente a moltiplicarsi di volume, rispetto al relativamente esiguo consumo che oggi ne viene fatto, e poiché i grandi produttori di litio si contano al momento sulle dita di una mano, si potrebbero creare problemi non molto dissimili dalle difficoltà di ordine politico-economico oggi presenti sul mercato mondiale dei combustibili fossili.

E poiché altro componente fondamentale dei materiali utilizzati per la produzione delle batterie al litio è la grafite (che tra l’altro richiede l’impiego di notevoli quantità di acido cloridrico, altamente inquinante) una sua conseguente penuria sul mercato mondiale lascerebbe prevedere un sensibile aumento del costo pure di questo materiale, ciò che contribuirebbe anche nel prossimo futuro a mantenere elevato il costo di fabbricazione del veicolo a propulsione elettrica.

Dovremmo dire che, in ogni caso, la propulsione ibrida quale oggi può essere realizzata non avvicina la soluzione del problema della sostenibilità energetica: è una pratica non economica, non ecologica, perfino non divertente, se obbliga proprio gli utenti che navigano per spasso (i diportisti) o per riempire tempi dedicati comunque all’evasione dalla vita di tutti i giorni (gli yachtmen), alle lente andature che a ciò non si confanno. La produzione di veicoli di questo genere tende a soddisfare finalità di scarsa utilità generale per l’ambiente del pianeta e quindi non rispondenti ad una innovazione sostenibile, per cui i loro maggiori costi, se si esclude uno scopo sperimentale, si configurano come uno spreco di denaro. Certo non va dimenticato che  interesse fondamentale permane l’intervenire, anche se a costi elevati, per la riduzione dell’inquinamento aereo nelle grandi città; ma è proprio in questa direzione che l’introduzione del veicolo ibrido non sta dando i risultati auspicati, a causa della sua insoddisfazione e quindi scarsissima diffusione: forse l’impegno finanziario dei costruttori di veicoli risulterebbe più proficuamente utilizzato  per un miglioramento dell’efficienza del motore endotermico (fruendo anche di quanto consentono le prospettive dell’impiego di metano e GPL) alle basse potenze comparabili con quelle sviluppate elettricamente di cui fruiscono attualmente i veicoli ibridati per muoversi alle basse velocità nelle zone da proteggere; soluzione comunque utile in casi particolari, ad esempio quello dei tassisti che si muovono solo in città ed a velocità non elevate, per i quali quindi queste non sono costrizioni.

E’ interessante rilevare che se la costruzione di natanti (ed auto) elettrici è stata sinora notevolmente rallentata dagli insufficienti progressi tecnologici nel settore della accumulazione di energia, ciò non ha arrestato la produzione delle batterie, che si giova del loro impiego molto diffuso in applicazioni diverse, tanto che il mercato della batteria al litio ha raggiunto la cifra di 18 miliardi di dollari all’anno, con la previsione di superare i 40 miliardi entro il prossimo quinquennio.

Come si è potuto constatare, in nessun caso la possibilità di risolvere radicalmente il problema dell’accumulazione di energia, e quindi dell’imbarcazione (o dell’auto) elettrica, si prospetta di immediata soluzione. Senza polemizzare sulle frequenti promesse di giungere rapidamente nei trasporti all’impiego delle celle combustibile o dell’idrogeno ma, preso atto che per la sostenibilità delle condizioni ecologiche della mobilità acquea e terrestre la propulsione ibrida è solo un palliativo seppure nella giusta direzione, non si può tacere l’opinione espressa in ambienti qualificati secondo cui nel prossimo futuro si possa prevedere un primo lasso di tempo tra gli anni 2010 e 2030 nel quale si giocherà su di una maggior efficienza ottenibile dall’impiego del motore a combustione, per far seguire una fase, che potrà avere inizio già negli anni ’20, in cui i problemi saranno più efficacemente risolti rivolgendosi ad una tecnologia che preveda il prevalente impiego dell’elettricità e dell’idrogeno, e/o di vettori di energia di nuova concezione, ad esempio ad energia cinetica.