Uno sguardo all’intimità dell’universo

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Vediamo anzitutto come si ritiene che sia costituito l’elemento primario della natura: l’atomo. A scuola lo si conobbe quale lo descrisse Rutherford agli inizi del secolo decorso, quasi un sistema copernicano formato da un certo numero di elettroni ruotanti su orbite circolari attorno ad un nucleo centrale contenente neutroni e protoni, a loro vota costituiti dai “quark”.  Ma le moderne visioni introdotte con la meccanica quantistica hanno innovato, per descrivere un atomo nel quale il nucleo occupa solo un volume di un millesimo di miliardesimo di esso, circondato da elettroni in diversa posizione “quantica” verificabile solo con il tentativo di misurazione. La posizione quantica caratterizza il sistema con un numero ancora sconosciuto di numeri, i principali dei quali sono il numero quantico principale (che dipende dalla distanza tra il primo elettrone ed il nucleo), il momento orbitale, che definisce la forma dell’orbita atomica, il numero quantico magnetico, componente di tale momento lungo l’asse principale, il numero quantico di spin, analoga componente verticale.Uno sguardo all’intimità dell’universo

Trattasi comunque di un corpo sostanzialmente vuoto, come dimostrato con esperimenti effettuati con particelle alfa, che attraversano l’atomo salvo per una piccolissima percentuale di esse (circa una su ottomila) che vengono respinte dal nucleo. Secondo verifiche sperimentali l’elettrone sarebbe puntiforme, con cariche elettriche distribuite entro una sfera avente diametro di circa 8×10-29 centimetri.

La posizione quantica dei corpi è elemento essenziale del loro comportamento, e gli elettroni possono discostarsene solo con l’assorbimento di energia sotto forma di fotoni (“quanti” di luce) se si allontanano dal nucleo od una corrispondente emissione di energia se vi si avvicinano:  questo avvicinamento non è consentito oltre un minimo che caratterizza lo “stato fondamentale”, ciò che spiegherebbe perché gli elettroni pur perdendo energia non cadano sul nucleo, come avviene invece per i corpi lanciati dall’uomo ad orbitare attorno ad un corpo celeste. Secondo una legge di Pauli, la posizione degli elettroni è soggetta al “principio di esclusione”, per cui due di questi non possono trovarsi nello stesso stato quantico, dando motivo alla impenetrabilità tra corpi solidi, pur se composti di elementi vuoti: ad esempio in un atomo di litio, avente tre elettroni, due possono trovarsi nella stessa posizione solo se differenziati dagli “spin” (in su o in giù) ma il terzo può trovarsi solo in un terza posizione quantica.

Poiché la meccanica quantistica, pur avendo confermato con risultati matematici le sue previsioni di carattere probabilistico, non dà la completa spiegazione del perché, tra i possibili risultati, uno solo ricada sotto la nostra diretta percezione, si può ipotizzare l’esistenza di mondi paralleli nei quali tutte le ipotesi siano reali. Alla considerazione della possibile esistenza di mondi diversi non conduce solo l’analisi della meccanica quantistica: così, nel tentativo di mettere a fuoco un “multiverso” è stata formulata la “teoria delle stringhe” che potrebbe anche portare alla conciliazione della relatività einsteniana con la meccanica quantistica, ed alla concezione di un modello fisico che inglobi tutte le quattro forze fondamentali della natura, problemi sino ad oggi non superati. Elemento fondante della teoria è che l’universo possa avere più delle quattro dimensioni dello spazio-tempo relativistico, e che i suoi costituenti siano particelle ad una dimensione, di misura tale che agli strumenti dell’odierna tecnologia apparirebbero soltanto puntiformi.

Ma anche rimanendo nella considerazione dell’unico universo di cui possiamo avere cognizione, si pone la questione di come esso possa essersi costituito: nei primi decenni del secolo scorso si pensò ad una enorme deflagrazione da cui esso potesse aver avuto origine, esponendo il concetto con i termini di “big bang”, cui sarebbe seguita l’espansione del tutto e, dopo un tempo brevissimo, la formazione della materia in un mondo caldissimo che, nell’espansione, si raffreddava gradualmente. Andarono formandosi le stelle, che si raggruppavano in galassie ed ammassi: nacque così la teoria inflazionaria dell’universo, che afferma che nei primi istanti dalla sua formazione l’universo si andava ampliando ad enorme velocità, superiore a quella della luce (circa 300.000 km al secondo) che negli sviluppi successivi della teoria venne definita come impossibile da superarsi dalle cose (ma non dallo spazio che le contiene). L’età dell’universo è stata calcolata in circa 13,8 miliardi di anni dal big bang, e quindi noi non potremo mai vedere oggetti che, continuando ad espandersi il mondo anche a velocità inferiore, verranno a distanziarsi da noi per un numero superiore di anni luce.

In applicazione di una legge di Hubble, le galassie si allontanano l’una dall’altra a velocità diversa tra di loro, proporzionalmente alla distanza che le separa, in conseguenza della dilatazione dello spazio, che si modifica per effetto della gravità: la quantistica afferma che lo spazio non è un vuoto, ma un contenitore di energia della quale noi non conosciamo né l’origine né l’essenza, sì che la indichiamo come energia oscura, una forza invisibile che contrasta la gravità impedendo la contrazione dell’universo quando fosse cessata l’energia sviluppatasi al big bang. Ma effettuato un tentativo di calcolo della quantità di energia presente nell’universo, ci si è resi conto che la somma della massa contenuta nel totale dei corpi che costituiscono il mondo prevedibile era di gran lunga insufficiente a sviluppare la forza di gravità necessaria a mantenere unito il complesso stellare. Si è dovuti quindi ripiegare sull’ipotesi dell’esistenza anche di una materia oscura, non composta di atomi od altre particelle infinitesimali, di cui sinora ci è totalmente ignota la costituzione materiale. E circa le quantità in gioco, possiamo solo immaginare che siano ignoti nei nostri calcoli sulla realtà presente dati per il 25% della massa ed il 70% dell’energia, e quindi per circa il 95 % del totale dei dati disponibili: il 5% del totale degli elementi di cui è costituito l’universo ci sarebbe pertanto sconosciuto.

Elemento caratteristico della nuova conformazione dell’universo sono i “buchi neri”, masse di cui non sono ancora note le principali caratteristiche. Quando una stella di grande quantità di materia collassa per effetto della azione gravitazionale su se stessa, se non esiste una sufficiente controazione causata dalla forza espansiva della combustione del materiale di cui la stella stessa è costituita, il collasso continua con il restringimento del corpo sino alla riduzione ad un singolo punto, la cui forza di attrazione superficiale aggiunge un enorme valore energetico, tale da non lasciare sfuggire alcunché, neppure un fotone di luce. Si è così formato un buco nero, la cui azione attrattiva si estende per uno spazio circostante sino ad un limite circolare denominato “orizzonte degli eventi”. Se ci calassimo verticalmente in un buco nero, dal momento del passaggio dall’orizzonte degli eventi noi saremmo soggetti ad una variazione crescente della forza agente su di una estremità del nostro corpo rispetto all’altra: il nostro corpo si allungherebbe nel fenomeno definito spaghettificazione.

Nel corso dei decenni vennero scoperte altre formazioni dell’universo, ed in particolare numerose forme di neutrini che possiedono una massa, ma in quantità tale che anche sommando quella dei numerosissimi neutrini si era ancora ben lontani dall’avere scoperto la materia oscura mancante. Riguardo allo spazio, uno degli elementi di novità introdotti dalla teoria einsteniana della Relatività generale, che comprende anche il trattamento della gravitazione, fu che lo spazio quadridimensionale (tre dimensioni per le lunghezze, una per il tempo) non è euclideo; in altre parole, lo spazio è curvo e le leggi dettate da Euclide non si applicano nel proposto sistema: in prossimità di un oggetto massiccio (ad esempio, il sole, come dimostrato in un famoso esperimento di deflessione della luce effettuato in occasione di una eclisse solare) lo spazio si deforma, le linee rette non sono più tali, gli angolo interni di un rettangolo non assommano più a 360 gradi, la misura della distanza richiede la considerazione di dieci grandezze. Einstein giunse così a definire le sue equazioni del campo gravitazionale, mediante l’elaborazione di un “tensore”, cioè di un complesso d’equazioni in cui le variabili sono a loro volta numeri od insieme di numeri.